“Il teatro non è necessario, ma qualcosa di più. Un luogo dove poter superare le barriere tra te e me, per non perderci ancora tra la folla ed essere quello che siamo.”
J. Gotowsky – regista teatrale

Si definisce Teatroterapia un percorso di gruppo in cui il conduttore si avvale di tecniche mutuate dal teatro, ed in particolare tecniche derivanti dal training che un attore fa su sé stesso per arrivare ad interpretare al meglio un personaggio.
Ogni sessione di Teatroterapia è suddivisa in tre livelli di lavoro: una fase di riscaldamento corporeo (lavoro pre-espressivo), una fase centrale della sessione dedicata alla performance (lavoro espressivo) e una fase finale di chiusura e condivisione (lavoro post-espressivo).

La dimensione corporea è uno degli elementi fondamentali della Teatroterapia: riscaldamento fisico, giochi di coordinazione, di attenzione spazio/temprale, di contatto con il proprio sé corporeo, fino al contatto con l’altro. A questo lavoro di espressività corporea si affianca quello sulla voce, a partire dal suono destrutturato, espressività primitiva fino ad arrivare all’espressività strutturata e in ultima analisi alla parola.

La parte centrale della sessione è quella dedicata alla performance, ovvero giochi di improvvisazione. Il delicato compito del conduttore è quello di portare i partecipanti ad un buon livello di spontaneità e creatività durante la parte iniziale di riscaldamento, accompagnandoli in modo fluido alla fase di performance che sarà realizzata sempre sotto la giuda del conduttore che offrirà di volta in volta una serie di stimoli differenti, lasciando allo stesso tempo ai partecipanti una totale libertà di espressione e movimento, senza alcun giudizio sulla valenza artistica della performance che nella Teatroterapia non viene, in nessun modo, presa in considerazione.

Processo e non risultato

Sé l’efficacia della Teatroterapia è data proprio dell’utilizzo di alcuni strumenti mutuati della tradizione prettamente teatrale, è anche vero che proprio per mantenerne l’efficacia terapeutica ne eliminiamo altri, con precisa cognizione di causa. Infatti nel lavoro terapeutico non esiste un copione, non esiste una regia, non esistono personaggi prefissati o situazioni rigide ma esiste un luogo non-luogo in cui tutto è permesso; in cui è possibile sperimentare di volta in volta situazioni differenti, in un ambiente protetto e con la giuda di un conduttore esperto. In tal modo ci si può mettere in gioco, provare ad essere qualcosa di diverso da sé e vedere l’effetto che fa, o paradossalmente si può provare ad essere “semplicemente” sé stessi fino in fondo, senza inibizioni, senza giudizio, senza sovrastrutture … e vedere che effetto fa!
Alla fine di ogni sessione è dedicato un tempo di riorganizzazione ed elaborazione dei vissuti personali, delle difficoltà incontrate, dei blocchi e delle paure. È uno spazio in cui ognuno è libero di esprimere il proprio sentire, senza giudizio e può a sua volta esprimere il proprio feedback ad altri compagni membri del gruppo, in un clima di apertura totale e accoglienza. La chiusura è anche uno spazio dedicato a raccogliere i frutti di ogni incontro e a sottolineare le proprie piccole conquiste, è il momento in cui mettiamo in parola lo stupore e la meraviglia per aver fatto qualcosa che non avremmo mai immaginato di fare.
Tutto il lavoro quindi ha una finalità puramente terapeutica, senza nessuna valenza artistica e senza la “messa in scena” di uno spettacolo finale. L’obiettivo del percorso non è imparare a recitare, ma al contrario, darsi la possibilità di essere autenticamente se stessi. In questa prospettiva la costruzione di una realtà drammatica diventa un luogo di scambio nel quale sperimentare ruoli, relazioni, pensieri, emozioni, all’interno della cornice protettiva del “gioco teatrale” in cui è possibile esplorare tutto, anche ciò che sta oltre la linea del buon senso, delle regole sociali, della logica.
E’ una dimensione magica proprio perché extra-quotidiana, uno spazio in cui realtà e creatività si integrano e si confondono, proprio come nelle prime fasi dell’infanzia, in una dimensione in cui tutto è possibile. Il gioco, la messa in scena, l’azione permettono l’avvio di un processo di trasformazione e di maggior padronanza del mondo esterno e del mondo interno.
Il gioco dell’improvvisazione stimola l’area dell’immaginazione e della creatività processo che genera di per sé un senso di libertà assoluta in cui è possibile sperimentare allo stesso tempo un contatto nutriente con sé e con il gruppo, una maggior consapevolezza delle proprie emozioni, e una più chiara percezione dei propri copioni di vita e del ruolo in cui siamo costantemente incastrati.
A partire da un lavoro di consapevolezza, “dove sono”, ovvero in quale trama sono imbrigliato e in quale ruolo, è possibile lavorare attraverso il gioco teatrale per avviare un processo di trasformazione interpersonale e comportamentale, in una cornice responsabilmente terapeutica.
«L’uomo deve dunque poter “crescere” e liberarsi delle proprie schiavitù “giocando” con più copioni, libero di interpretare e sperimentare quelli che più gli si confanno. Infatti, la persona sana non dovrebbe cercare la fedeltà “al copione” che gli è stato imposto, ma la fedeltà al proprio sé » afferma Walter Orioli, teatro terapeuta.
Attraverso il gioco dell’improvvisazione teatrale ritroviamo le coordinate di una diversa interpretazione della nostra vita e di un nuovo adattamento che sia più soddisfacente nel “qui ed ora”. Il gioco infatti consente una riorganizzazione percettiva della propria narrazione, e di conseguenza una apertura creativa che permette di “sperimentare” soluzioni diverse ad una situazione fino ad ora percepita come cristallizzata e senza via d’uscita.
Attraverso la Teatroterapia si può lavorare sulle proprie paure (compresa quella di salire su un palco o sentirsi giudicati o non all’altezza), possiamo allenarci a riconoscere le nostre rigidità muscolari ed emotive ed imparare a scioglierle, possiamo sperimentare cosa accade nel dire di “No” e preservare i nostri confini o in caso contrario imparare a dire di “Si” e far entrare qualcuno nel nostro mondo chiuso e rigido, possiamo sperimentare tutto ciò senza il timore che si realizzino le nostre fantasie catastrofiche, in un ambiente protetto che accoglie e permette di fare “esperienza”.
In ultima analisi, parlando di Teatroterapia, non ci si può dimenticare della dimensione ludica, ovvero del “gioco” inteso come divertimento, leggerezza, autoironia. Il potere terapeutico di tale attività è anche legato alla possibilità che questo percorso offre di poter ironizzare e giocare con alcuni aspetti di sé, per imparare ad amare in modo tenero e giocoso gli aspetti di noi che facciamo più fatica ad accettare.
Il lavoro è orientato anche a trovare il Clown sopito in ognuno di noi, che aspetta con fiducia, ingenuità e candore, che prima o poi ci si accorga di lui.

«Il teatro dà un senso alla vita»
Eduardo De Filippo.