Di fronte ad atti di violenza domestica, di fronte a stupri o anche semplicemente di fronte ad una donna che ricopre cariche politiche e che viene attaccata sulla sua immagine, rimaniamo sempre stupiti. Ci chiediamo come mai si possa arrivare a tanto, come mai la donna viene considerata ancora un oggetto pur essendo ormai emancipati, come mai in una cultura così moderna siamo ancora immersi in stereotipi antichi duri a morire.
Sicuramente una bella mano a restare impigliati in una cultura maschilista ce la danno i mass media, i social e le pubblicità per strada con gigantografie di donne in guepiere che pubblicizzano ogni sorta di prodotto.
Una cultura che vede la donna e soprattutto il suo corpo, come uno strumento, come la cornice perfetta per vendere qualunque cosa o per abbellire programmi televisivi e riviste, non può poi non legittimare un certo tipo di uomini a trattarci come oggetti.
Il culto della bellezza e della perfezione, culto prettamente occidentale, impera nella nostra società. Uomini e donne ricorrono sempre di più alla chirurgia estetica, ai trattamenti anti-rughe, anti-cellulite, anti-età, “anti-personalità”, annientando ogni imperfezione vista come quel qualcosa che impedisce il raggiungimento della felicità. Il prefisso anti deriva dal greco è significa appunto “contro”. Si potrebbe affermare che nella nostra cultura dell’effimero siamo contro noi stessi, contro lo scorrere naturale della vita come se avessimo paura che non avendo più un bel corpo da esibire, venissimo inghiottiti dal nulla, non esistessimo più.
Tutto questo, vale per molti uomini ma riguarda soprattutto un enorme numero di donne e tale concetto di perfezione viene esasperato ogni giorno di più da ciò che passa attraverso i mass media. Questo pericoloso messaggio subliminale, che in realtà ad un occhio un po’ critico non è poi così tanto subliminale, si insinua viscido nella nostra mente.
E’ questa cultura che arriva alle nostre figlie e ai nostri figli ed arriva perché noi adulti per primi siamo sensibili al richiamo delle sirene della vanità. Padri e madri, distratti o troppo impegnati o semplicemente anch’essi vittime, non aiutano di certo ad osservare con uno sguardo autonomo e critico ciò che arriva dalla pubblicità o dai social. I genitori sono spesso coloro che alimentano il circuito dell’effimero o aderendo completamente all’illusione del successo e del denaro ottenuto facilmente (ricordiamoci che siamo nell’epoca dei reality) o semplicemente lasciando da soli i propri figli a fruire di programmi televisivi o di video su internet senza alcuna guida, senza un riferimento che possa aiutarli a riconoscere dove comincia il rispetto per sé e per la propria dignità e dove questo finisca.
Nelle menti dei giovani maschi il messaggio che arriva inequivocabile è che la donna, messa in bella mostra, venga “utilizzata” solo per essere guardata, direi anzi scrutata in tutte le sue forme, a giudicare dalle inquadrature. Un uomo in televisione non viene mai ripreso dai piedi, la telecamera non scorre lentamente lungo tutte le sue gambe per poi indugiare sul décolleté, mentre questo accade spesso alle donne in televisione. Vivisezionate in ogni parte del corpo con immagini che mettono costantemente in primo piano le curve e con improbabili inquadrature di spalle che vedono come unici protagonisti posteriori fasciati da vestiti aderenti che non lasciano nessuno spazio alla fantasia. Tutto ciò accade normalmente e in quasi tutti i tipi di trasmissione quando l’oggetto dell’inquadratura è una donna. Questo è quello che arriva ai nostri figli, che le donne sono in televisione per dare piacere a chi le guarda e a chi vede un corpo di donna sempre meno vestito, un corpo sganciato dal pensiero, dalla possibilità di esprimere un parere, di esistere al di là dell’immagine, velina, meteorina, letterina.
Alle ragazze arriva il modello da perseguire, quello vincente, “Basta avere un bel fisico e un bel sorriso e se non ce l’hai puoi sempre costruirtelo”.
Questa è una donna che non si fida delle proprie capacità e risorse interne, una donna che, sempre per la sua bassa autostima, ha la necessità di scoprire, tutti i giorni, che vive e vale solo se appare, perché questo è il modello che passa come vincente. E quella scatola magica che è la televisione, diventa il megafono per l’unico messaggio possibile: devi essere perfetta se vuoi essere felice, devi essere visibile se vuoi essere qualcuno.
Questo è il messaggio pericoloso che arriva diretto, come una freccia lanciata con precisione nella mente delle ragazze. Tutto questo è amaramente confermato da un fenomeno molto diffuso negli ultimi anni; molte ragazze per il loro diciottesimo anno di età si fanno regalare dai loro genitori un intervento di chirurgia estetica. Nuovi seni, nuove cosce, nuovo naso. Tutto nuovo! L’illusione che la tristezza e la malinconia adolescenziale svanisca dietro l’ombra di un bisturi è forte in queste ragazze quanto forte è nei loro genitori, veri responsabili di un atteggiamento che premia la forma a discapito della sostanza.
Alcune donne più fragili di altre, aderiscono senza tentennamenti al modello che la società richiede, quello che passa in televisione e che affascina milioni e milioni di uomini di fronte agli schermi.
Finché ci saranno donne che aderiscono a questo modello, fino a quando noi stesse non crederemo di valere a prescindere dalla nostra immagine, saremo noi stesse a contribuire al mantenimento di questa visione del femminile.
La pubblicità è un pericoloso canale attraverso cui fluiscono, inconsapevolmente per chi guarda ma non certo per chi le propone, una serie di messaggi distorti sul corpo della donna.
Seni in bella mostra per pubblicizzare una crociera con la scritta “Abbiamo le poppe più famose d’Italia”, o un corpo di donna nudo e rannicchiato in una vaschetta chiusa con il cellophan con la scritta “Offerta speciale”, o un’altra donna completamente nuda su un cartellone con la scritta “Vestimi, o ancora una donna nuda che stira i pantaloni del suo uomo che attende leggendo il giornale seduto comodamente su una poltrona, mi fermo qui ma potrei continuare perché sono centinaia. Messe in fila, queste immagini, sono agghiaccianti. Anzi, vi invito a fare un giro su internet cercando con la dicitura “corpo femminile pubblicità” e invito, uomini e donne, ad osservare con criticità il messaggio che passa al di là del prodotto.
Fino a quando le donne stesse si presteranno a questo, fino a quando pur di avere un attimo di gloria saranno disposte a vendere il proprio corpo, saremo corresponsabili di questo scempio che ogni giorno viene fatto del nostro corpo e della nostra dignità.
Se il messaggio che passa è questo, perché stupirci allora se un uomo pensa di poter fare di noi ciò che vuole, all’interno di una relazione, una sera in discoteca, sull’autobus o sul lavoro. Se questo è l’inganno in cui noi stesse a volte cadiamo, perché stupirci del fatto che per garantire una presenza femminile nella politica ci sia la necessità delle “quote rosa” o perché stupirci del fatto che raramente alle donne vengano date cariche significative, o ancora stupirci del fatto che, spesso, quando una donna non punta tutto sul proprio aspetto fisico, improvvisamente non è più vista come una donna ed è criticabile non per le sue opinioni ma per come si veste o per quanto pesa?
Se noi per prime non ci mettiamo in prima linea affermando noi stesse al di là della nostra immagine, sarà molto difficile liberare le generazioni future da questa trappola. La stessa trappola che fa pensare che una donna valga meno di un uomo, che uccidere una donna sia “normale”, perché in fondo è lì per soddisfare un bisogno e per appagare una volontà e quando questo non accade, alcuni uomini, sentono di avere tutto il diritto di agire come “clienti insoddisfatti!” Questo è il pericolo che si corre. Se non si prende coscienza di tutto questo, se uomini e donne non cominciano a pensare in modo diverso proprio a partire dai messaggi, subliminali o meno, che la nostra società tramanda, di generazione in generazione, non riusciremo mai a cambiare una cultura maschilista. Per questo cambiamento è necessario fare un lavoro capillare fin dall’infanzia, fin da quando proponiamo giochi di “lavori di casa” per le femminucce e giochi di “guerra” per i maschietti, rimproverando quest’ultimi se per caso si ritrovano a curiosare tra le bambole, facendoli sentire sbagliati! Fino a quando educheremo i nostri figli così avremo una mentalità maschilista che rappresenta una concausa prepotente alla base di un atteggiamento violento a discapito delle donne. E di questo siamo tutti responsabili.